A Trieste torna in scena dopo 10 anni lo storico allestimento del Macbeth di Giuseppe Verdi firmato dal grande regista tedesco Henning Brockhaus, ormai un classico della regia lirica; la direzione musicale è affidata a Fabrizio Maria Carminati, mentre il cast italiano e internazionale affianca interpreti di consolidata esperienza e giovani talenti emergenti. Brockhaus stesso è al lavoro in città da settimane, si realizza dunque una ripresa non affidata ad assistenti ma curata personalmente dal regista, legato idealmente al territorio giuliano per aver trascorso la parte iniziale della sua prestigiosa carriera internazionale a fianco di Giorgio Strehler (nato a Trieste nel 1921), al Piccolo di Milano, al Teatro alla Scala e nel mondo. Pilastro fondamentale dello spettacolo è l’apparato scenico di Josef Svoboda (magistralmente ricostruito da Benito Leonori, ex assistente di Brockhaus), uno dei maggiori e più geniali protagonisti del rinnovamento scenografico del secondo dopoguerra. Il team creativo vede poi al lavoro altri nomi di primo piano, come la coreografa, ex attrice di Strehler, Valentina Escobar, e Nanà Cecchi, costumista pluripremiata – anche a Hollywood – attiva in teatro, cinema e tv. Macbeth è stato un titolo popolarissimo a Trieste dal 1848 al 1873; venne poi dimenticato per quasi un secolo, e nel corso del ‘900 comobbe solo tre allestimenti al Teatro Verdi. Risaltano dunque le due produzioni ravvicinate degli anni 2000, nel 2005 con il regista belga Van Hoecke, poi nel 2013 e nella ripresa odierna appunto con Henning Brockhaus. grande maestro della drammaturgia novecentesca. E se il teatro d’opera oggi è non solo rilettura vivente di grande repertorio musicale, ma anche specchio storico dell’interpretazione registica, questo Macbeth firmato da Henning Brockhaus è – soprattutto per gli appassionati più giovani – un appuntamento da non mancare, proprio in quanto emblematico di una visione registica che ha segnato profondamente il secondo Novecento: la sua vita trentennale sui palcoscenici più prestigiosi, a cominciare dall’Opera di Roma nel 1995, dimostra infatti come ancora oggi le intuizioni di questo spettacolo eminentemente artigianale siano davvero momenti di alta scuola, nella filosofia interpretativa come nella realizzazione scenica. Un mondo violento ed illogico, usurato dalla brama di potere, con guerrieri zombies, inconsapevolmente morti e mossi solo dal desiderio di nuocere, vive nei giochi di luce sui veli, proiezioni, trasparenze, specchi animati dai proiettori, in una vera antologia di quelle soluzioni visuali ancora considerate innovative ed al centro dell’arte teatrale nel mondo. Fabrizio Maria Carminati, nome ben noto a Trieste e con una capillare conoscenza delle masse artistiche del Verdi, dirige un cast nel quale spiccano il soprano veneziano Silvia dalla Benetta, già Lady Macbeth con Gelmetti e Roberto Abbado, l’olandese Gabrielle Mouhlen, scoperta di Riccardo Muti proprio per i ruoli verdiani drammatici, mentre per Macbeth si alterneranno sul palco l’affermato baritono Giovanni Meoni, al sono particolarmente congeniali i personaggi della maturità verdiana, e il giovane ma già stimato coreano Leon Kim, presenza importante di questa stagione. Macduff vedrà protagonisti il tenore Riccardo Rados, oggi scelto al fianco di grandi star internazionali come Jonas Kaufmann e Anna Netrebko, sia il giovane Antonio Poli, che vanta ricorrenti collaborazioni con direttori come Pappano e Muti. Il versatile ed affermato Dario Russo darà voce a Banco in staffetta con il giovane basso rumeno Cristian Saitta, già noto al pubblico giuliano. “Per interpretare il Macbeth di Verdi devi entrare nel testo musicale – dichiarava Henning Brockhaus in occasione dell’allestimento triestino del 2013 – “perché Verdi, come Mozart, non sbaglia mai. Bisogna affrontare la partitura come un archeologo, nota per nota e da musicista diplomato in clarinetto, pianista per passione e con studi di composizione alle spalle, la partitura per me è la guida, non il libretto. La musica è un’arte assurda, astratta e surreale che non è ancora stata scoperta fino in fondo. La musica è un linguaggio astratto che però interpreta i nostri affetti, come il linguaggio onirico o mitologico, ed è per questo che ritengo che il linguaggio realistico non sia adatto alla musica e quindi all’opera”. Macbeth “é un incubo” – ha ribadito il regista tedesco presentando la ripresa dello spettacolo – popolato di “personaggi che non vivono più, sono morti, e cercano di portare con sé tutto ciò che li circonda, come tutti i grandi psicopatici del mondo. Macbeth come specchio del male, “é una riflessione sui nostri lati più oscuri, sulla nostra perversione e sete di potere”, ha spiegato ancora Brockhaus precisando di essersi ispirato a Trono di sangue di Akira Kurosawa. “Non ho fatto una edizione storica, il lavoro è assolutamente contemporaneo e non è legato a nessuna esigenza di realismo. Nell’opera lirica la musica è un linguaggio simbolico che descrive a pieno la nostra vita empatica”, ha sottolineato. Nel Macbeth “non mancano i momenti di grande spinta lirica e melodica” – ha messo in luce Fabrizio Maria Carminati – ” ma i contrasti, a volte, sono talmente forti che chi ascolta resta colpito da questo modo di recitare che è assolutamente nuovo.”