Sarà una Turandot speciale, quella in programma il 12 marzo (ore 18) a Roma, nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica: una Turandot dal triplice debutto assoluto, per Antonio Pappano che non l’aveva mai diretta nella sua carriera, e per i due interpreti principali che affrontano per la prima volta i rispettivi ruoli, il soprano statunitense Sondra Radvanovsky che sarà Turandot e il tenore tedesco Jonas Kaufmann, che darà corpo e voce al principe Calaf. Sarà anche la prima volta che l’opera estrema di Puccini entra nei cartelloni dell’Accademia di Santa Cecilia. Sul podio dell’Orchestra, del Coro e delle Voci Bianche dell’ Accademia Nazionale di Santa Cecilia (istruiti da Mario Monti), Pappano avrà un cast d’ eccezione che annovera anche Ermonela Jaho (Liù), Michael Spyres (Altoum), Gregory Bonfatti (Pang), Siyabonga Maqungo (Pong), Mattia Olivieri (Ping), Michele Pertusi (Timur) e Michael Mofidian (Un Mandarino). Annunciato come “l’evento musicale più atteso dell’anno e tra le produzioni discografiche più importanti del 2023”, Turandot sarà presentata in forma di concerto e con il finale originale del compositore Franco Alfano. L’etichetta Warner Classics ne trarrà un CD, registrato nelle settimane precedenti il concerto, che anticiperà di un anno il centenario della scomparsa di Puccini nel 2024. Turandot, ultima opera e testamento musicale di Giacomo Puccini, nacque dalla collaborazione con i librettisti Giuseppe Adami (autore anche dei libretti della Rondine e del Tabarro) e Renato Simoni, ed è liberamente ispirata alla famosa fiaba teatrale omonima di Carlo Gozzi (1762). Il compositore iniziò a lavorare all’opera nella primavera del 1920, ma la morte lo colse durante la composizione del terzo atto. Rimasero così incompiuti il duetto fra Calaf e Turandot e il quadro conclusivo. Incompiutezza che ha acceso il dibattito tra gli studiosi, tra chi la riconduce all’inesorabile progredire del male che aveva colpito Puccini, e coloro che ne vedono la causa nell’intima impossibilità del Maestro di sciogliere il nodo cruciale del dramma, la trasformazione della principessa Turandot, fredda e sanguinaria, in una donna innamorata. L’opera andò in scena al Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926, due anni dopo la morte dell’autore, diretta da Arturo Toscanini, con la regia di Giovacchino Forzano. È noto l’episodio che vide Toscanini posare la bacchetta, dopo l’ultima scena scritta dal Maestro, due battute dopo il verso “Dormi, oblia, Liù, poesia!” rivolgendosi al pubblico con le parole: “Qui finisce l’opera, perché a questo punto il Maestro è morto.”. La sera seguente l’opera fu rappresentata, sempre sotto la direzione di Toscanini, con il finale di Alfano, che verrà eseguito anche nella serata di Santa Cecilia. “Turandot è un’opera che in passato ho evitato di dirigere – ha commentato Antonio Pappano, che di Puccini ha già inciso La bohème, Il trittico, La rondine, Tosca, Madama Butterfly – tuttavia, col passare del tempo ho subito il fascino della partitura, dell’orchestrazione, della sua concezione […] Turandot è permeata da una splendida raffinatezza, che ha modo di emergere in un lavoro pieno di graffiante ironia. Puccini si muove tra tragedia e leggerezza, ed è un aspetto che mi piace molto. C’è, poi, tutta la vicenda del finale, che è assolutamente affascinante. […] Alfano non era geniale come Puccini, tuttavia il suo finale dal punto di vista teatrale funziona, e quindi abbiamo deciso di eseguirlo il 12 marzo e di registrarlo in disco, comprese le circa 104 battute soppresse da Toscanini. Turandot è un’opera perfetta per il Coro e per l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, e la sala Santa Cecilia ha l’acustica ideale per renderla al meglio. Spero di realizzare una esecuzione molto bella”. * (In alto, Turandot, locandina di Leopoldo Metlicovitz, 1926, in basso , Sondra Radvanovsky, photocredit © Michael Cooper)