Torna alla Scala di Milano Les contes d’Hoffmann, il celebre e incompiuto capolavoro di Jacques Offenbach, in scena per sei recite dal 15 al 31 marzo 2023 dopo un’assenza di undici anni. Una produzione doppiamente nuova: sul versante musicale, il maestro Frédéric Chaslin – profondo conoscitore della partitura che ha diretto più di 500 volte in tutte le varianti esistenti – presenta una nuova versione alternativa all’edizione critica del 2009; sul fronte della messinscena, la regia immaginifica di Davide Livermore, che insieme ai suoi collaboratori (Giò Forma per le scenografie, Gianluca Falaschi per i costumi, Antonio Castro per le luci) si richiama alla fascinazione del teatro d’ombre e delle lanterne magiche, avvalendosi dell’esperto gruppo Controluce Teatro d’ombre, per la prima volta alla Scala. Una fascinazione che attraversa l’immaginario dell’800 francese fino a Proust e alle avanguardie, qui messa al servizio di una rappresentazione spietata e attuale degli stereotipi di genere. Hoffmann rimane incapace di vedere l’umanità nelle donne che incontra, e considerandole solo come caricature di ruoli tradizionali, la bambola, la vittima, la prostituta o la musa. Sul palco, una compagnia di canto che annovera nomi tra i più prestigiosi della scena internazionale, insieme a giovani talenti emergenti: Vittorio Grigolo è protagonista nel ruolo del poeta Hoffmann, Marina Viotti impersona en travesti lo scettico Nicklausse, Eleonora Buratto è Antonia, le giovani Federica Guida e Francesca Di Sauro sono rispettivamente Olympia e Giulietta. Nei quattro personaggi diabolici torna alla Scala Luca Pisaroni, mentre Alfonso Antoniozzi veste i panni di Luther e di Crespel, e Greta Doveri, dell’Accademia scaligera, canta il ruolo di Stella. Completano il cast Yann Beuron come Spalanzani, Hugo Laporte come Hermann e Schlémil, François Piolino come Andrés, Cochenille, Frantz e Pitichinaccio e Néstor Galván come Nathanaël. – (Photocredit, Brescia & Amisano)
Milano, alla Scala Les Contes d’Hoffmann, sul podio Frédéric Chaslin, la regia è di Davide Livermore
Quali Contes? Les contes d’Hoffmann sono per Offenbach il lavoro di trent’anni, da quando nel 1851 il compositore assiste all’Odéon al “drame fantastique” che Jules Barbier e Michel Carré avevano tratto dai racconti L’uomo della sabbia, Il consigliere Krespel e Le avventure della notte di San Silvestro fino alla sua morte, nel 1880. L’opera, su libretto del medesimo Jules Barbier, resta incompiuta, ma Hoffmann lascia comunque una straordinaria quantità di musica. La prima esecuzione ha luogo, vivo l’autore, in un concerto privato nel 1879, ma l’opera è ancora assai differente da come la conosciamo (Hoffmann per esempio è un baritono). Tra i presenti Léon Carvalho, il vulcanico direttore dell’Opéra-Comique che nel 1881, quattro mesi dopo la scomparsa dell’autore, porta i Contes di fronte al pubblico. Per farlo si affida a Ernest Guiraud, amico di Offenbach e già autore del pesante rimaneggiamento che aveva trasformato la Carmen di Bizet da opéra-comique a opera e che anche in questo caso sostituisce i dialoghi con recitativi. Carvalho impone tagli draconiani e per mantenere la serata sotto le quattro ore sopprime l’atto di Giulietta, che sarà reintegrato nell’edizione del 1904 a Montecarlo in cui compare anche l’aria di Dapertutto “Scintille, diamant”. Ogni teatro propone la sua versione: Gustav Mahler fa sopprimere la cornice formata dalle scene della taverna lasciando solo i tre atti di Olympia, Antonia e Giulietta, mentre Hans Gregor la ripristina per l’inaugurazione della Komische Oper di Berlino nel 1905; nel 1958 Walter Felsenstein fa tagliare i recitativi di Guiraud per tornare al parlato. Nel 1976 Antonio de Almeida ha accesso alle carte degli eredi: riaffiorano buona parte dello spartito manoscritto, la partitura dell’atto di Giulietta secondo Guiraud, e in seguito le parti strumentali del concerto del 1879. Le edizioni rispecchiano il percorso tortuoso del testo, in cui la fase creativa non era stata meno avventurosa di quella esecutiva. Il primo editore è Choudens, che propone ben 5 edizioni diverse nell’800 cui ne aggiunge nel 1907 una ulteriore che accoglie le modifiche proposte dal direttore dell’Opéra de Monte-Carlo Raoul de Gunsbourg. Due anni prima era uscita presso Peters la versione Gregor in tedesco. Queste versioni restano il riferimento di tutte le esecuzioni fino a quella di Richard Bonynge del 1971; la prima edizione critica, forte dei ritrovamenti di De Almeida, è dovuta a Fritz Oeser nel 1977, ma contiene diversi interventi creativi e arbitrari; nel 1984 Michael Kaye analizza oltre 350 pagine di materiali inediti andati all’asta da Sotheby’s e acquisiti dall’Università di Yale. Tre anni più tardi la versione originale del libretto presentata da Offenbach all’ufficio della censura riemerge dall’Archivio Nazionale Francese svelando l’esistenza di un finale dell’atto quarto che viene poi rinvenuto tra le carte degli eredi nel castello di Cormatin. Questi ulteriori materiali confluiscono nell’edizione Schott del 1999. Il musicologo Jean-Christophe Keck presenta infine, nel 2009, una nuova edizione che ambisce a essere definitiva, includendo tutte le varianti conosciute. Proprio su questa recente edizione si concentrano i dubbi e le ricerche di Frédéric Chaslin: “La tradizione testuale frammentaria che caratterizza i Contes – spiega Chaslin – ha aperto la strada a un’ardua questione filologica ancora oggi dibattuta. Molti e sostanziali sono i cambiamenti apportati all’originale dai revisori, a partire da Ernest Guiraud, che orchestrò la partitura dopo la scomparsa improvvisa di Offenbach, per arrivare ad André Bloch e Pierre Barbier, autori della produzione di Montecarlo del 1904, e alla tradizione esecutiva fissata delle edizioni Choudens (1887-1907). Fra i tentativi di restauro più recenti, alcuni hanno preteso di accostarsi all’“autentico” Hoffmann sventolando una patente di scientificità che però non è provata dalla reperibilità delle fonti. Mi riferisco alla cosiddetta edizione “definitiva” di Michael Kaye e Jean-Christophe Keck (2009), sulla cui autenticità è legittimo nutrire seri dubbi, tenuto conto degli errori di armonia, di prosodia, di orchestrazione che presenta ma che Offenbach non avrebbe mai commesso. Ho svolto una vera e propria indagine alla Sherlock Holmes (che pubblicherò prossimamente) per smascherarne tutte le attribuzioni arbitrarie. Dopo aver diretto nel corso della mia carriera tutte le versioni esistenti dei Contes, ero davanti a un bivio: potevo continuare a interpretare l’opera secondo la moda del momento, quella della novità e del sensazionalismo, oppure tornare indietro all’Urtext, alla fonte più pura e vicina all’originale di Offenbach. Ho scelto la seconda via, per me la più onesta, coniugando l’edizione Choudens e quella di Fritz Oeser (1976), che ha il merito di non alterare il miracoloso equilibrio che sussiste fra materiale originario e musica spuria”.