Concertisti Classica

La Musica Classica in Italia

La Playlist composta da Duetti d’Amore
Abbiamo compilato una playlist che attraversa un’intera gamma di sentimenti amorosi, toccando tutte le corde di cui la musica è capace: vi emozionerà!

Questa playlist è tutta composta da duetti d’amore e attraversa i quattro secoli di storia dell’opera: spazia infatti dai primi anni del Seicento al Novecento, dall’opera barocca e settecentesca al Belcanto, a Verdi e Puccini fino al Verismo.

Le emozioni che compositori e librettisti hanno racchiuso in questi scrigni musicali sono variegate come lo sono le sfumature dell’amore: dalla tenerezza innamorata che ricorda i fidanzatini di Peynet ai romantici sospiri del “dimmi che mi ami”,  dall’estatica contemplazione reciproca (“Caro, bella”) alla passione dei sensi, da “Prendi l’anel” al tradimento; dall’amore tanto più intenso quanto più ostacolato, all’immancabile amore più forte della morte.

Un mix di musica famosa e brani da scoprire, di compositori celebri e autori che non tutti conoscono – non ci sono solo la Gelida manina della Bohème e l’amore misterioso e altero della Traviata . . .

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San Valentino, la Playlist perfetta
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Playlist
Poppæa Sabina (30 circa – Oplontis, 65) fu la seconda moglie dell'imperatore romano Nerone, e quindi imperatrice consorte dell'Impero romano dal 62 alla sua morte. Gli storici dell'antichità vedono in lei poche qualità (a parte la sua bellezza) e ne descrivono gli intrighi per diventare imperatrice. Solo quindici secoli dopo Claudio Monteverdi ne diede un ritratto meno fosco nella sua ultima opera, evidenziandone l'amore per l'imperatore.

Iniziamo dagli esordi dell’opera, da Claudio Monteverdi (Cremona  1567 – Venezia 1643) – il compositore che segna il passaggio dalla musica rinascimentale alla musica barocca, l’autore di quello che è considerato il primo capolavoro della storia del melodramma, L’Orfeo (1607)

L’incoronazione di Poppea, è invece l’ultima e la più innovativa opera del grande compositore cremonese; è anche uno dei primi drammi per musica ad essere stato scritto non per un teatro di corte, ma per un teatro pubblico, il Teatro Santi Giovanni e Paolo di Venezia, edificato dai Grimani  nel 1638, un solo anno dopo il San Cassiano, il primo teatro  pubblico in assoluto. L’incoronazione di Poppea  vi debuttò durante il Carnevale del 1643.

Strutturata in un prologo e tre atti su libretto di Gian Francesco Busenello, l’opera ruota attorno alla figura dell’imperatore Nerone, e ha tra le sue fonti gli Annali di Tacito e Le Vite dei Cesari di Svetonio. La storia dello scandaloso matrimonio dell’imperatore Nerone con Poppea, preceduto dalla morte di Seneca e dal ripudio di Ottavia, era familiare al pubblico. Senza giudizi di carattere morale, l’opera mette in scena un crescendo di avvenimenti, mescolando con grande senso del teatro il registro tragico, patetico e comico.

Il sensualissimo duetto tra Nerone e Poppea, novelli sposi, costituisce il finale dell’opera:

Pur ti miro,

Pur ti godo,

Pur ti stringo,

Pur t’annodo,

Più non peno,

Più non moro,

O mia vita, o mi tesoro.

Io son tua…

Tuo son io…

Il Demofoonte è uno dei libretti di maggior successo di Pietro Metastasio, tanto che si contano oltre 70 messe in musica. Tra queste, l’opera di Niccolò Jommelli (Aversa 1714 – Napoli 1774) riscoperta una decina di anni fa da Riccardo Muti e allestita nell’ambito del suo progetto dedicato alla  grande scuola napoletana del Settecento, coprodotto dal Ravenna Festival, il Festival di Pentecoste di Salisburgo e l’Opéra national de Paris. Il Demofoonte di Jommelli  – rappresentato la prima volta nel giugno 1743 al Teatro Obizzi di Padova – è un dramma lirico in tre atti dalla trama molto complicata: un gioco tra quelli che sono e quelli che non sono. Demofoonte  è il re di Tracia, ma Timante, non è suo figlio, come invece viene lasciato credere. Dircea è creduta figlia di Matesi, mentre è la figlia segreta di Demofoonte. Cherinto e Timante non sono fratelli, ma lo si apprenderà solo alle ultime battute. Per quasi tre ore, quindi, si segue una vicenda nella quale l’identità dei personaggi non è quella che si scoprirà alla fine. Improvvisamente, lasciando lo spettatore sgomento come se fosse uscito da un labirinto, la vicenda si scioglie, e si giunge rapidamente alla rivelazione del lieto fine. Dircea e Timante, sposi segreti, ci regalano un magnifico duetto: Timante Ah fermati ben mio. Senti. Dircea Che vuoi? Timante La destra ti chiedo, mio dolce sostegno, per ultimo pegno d’amore e di fé.



Il nome del compositore, Niccolò Jommelli, sicuramente poco familiare ai più, è assolutamente da riscoprire e ascoltare: si tratta di uno dei maggiori rappresentanti della Scuola napoletana, all’epoca famoso in tutta Europa grazie alla splendida orchestra che aveva creato quando era Maestro di Cappella a Stoccarda, alla corte di Carlo Eugenio II di Wüttemberg, dove operò per un lungo periodo, dal 1753 al 1769.

Georg Friedrich Händel, o George Frideric Haendel  (Halle 1685 – Londra 1759), è stato uno dei massimi compositori del barocco europeo, annoverato tra i più grandi di tutta la storia della musica. Dopo una prima formazione  nella natia Halle e successivamente ad Amburgo, soggiornò per quattro anni in Italia (1706  – 1710) prima di stabilirsi a Londra nel 1712; divenne cittadino naturalizzato britannico nel  1727 e trascorse il resto della sua vita in Inghilterra.

Le composizioni di Haendel comprendono 25 oratori, più di 120 cantate, trii e duetti, numerose arie, musica da camera, musica sacra per la corte inglese, odi e serenate, 18 concerti grossi e 12 concerti per organo e ben 42 opere.

Non solo la sua produzione artistica si estendeva a tutti i generi musicali del suo tempo, ma è stato molto attivo anche come impresario operistico.

Il Giulio Cesare (titolo originale Giulio Cesare in Egitto) è un’opera  in tre atti su libretto in lingua italiana di Nicola Francesco Haym.  Il libretto deriva da quello omonimo di Giacomo Francesco Bussani, che era stato rappresentato per la prima volta nel 1677 a Venezia con musiche di Antonio Sartorio.

L’opera di Haendel venne rappresentata per la prima volta il 20 febbraio del 1724 al King’s Theatre di Londra. Per l’occasione, il libretto, tradotto in inglese dalla stesso compositore, fu messo a disposizione del pubblico per favorire la comprensione della trama. Nel cast di altissimo livello brillavano i due protagonisti, veri divi dell’epoca: la primadonna Francesca Cuzzoni e il castrato Francesco Bernardi, il celeberrimo  Senesino, protagonista di ben 17 opere haendeliane. Il successo fu clamoroso, e l’opera venne ripresa più volte; oggi è una delle opere barocche più amate e più rappresentate.

Narra la nota storia di Giulio Cesare in Egitto, e si conclude con il magnifico duetto d’amore tra Cesare e Cleopatra:

CLEOPATRA

Caro!

CESARE

Bella!

CLEOPATRA E CESARE

Più amabile beltà

Mai non si troverà

Del tuo bel volto.

…così sortì dal cor la doglia amara,

e sol vi resta amor, costanza e fè. 

Rodelinda, Regina de’ Longobardi  è un’opera in tre atti su libretto di Nicola Haym, in quegli anni collaboratore abituale di Händel, sulla base del libretto di Antonio Salvi musicato da Giacomo Antonio Perti (Pratolino 1710) e ispirato a sua volta alla tragedia Pertharite, roi des Lombards di Corneille.

L’opera debuttò con grande successo al King’s Theatre di Londra, il 13 febbraio 1725, con un cast eccezionale (già utilizzato

da Haendel per il  Tamerlano l’anno precedente). Il ruolo del titolo venne interpretato dalla prima donna Francesca Cuzzoni, quello di Bertarido dal Senesino. L’opera riscosse un grande successo e fu replicata tredici volte. In tempi moderni Rodelinda segna la rinascita dell’interesse per le opere di Haendel: nel 1920 fu la prima opera del compositore presentata a Göttingen a cura di Oskar Hagen, l’iniziatore della Händel-Renaissance.

La vicenda risale a un episodio narrato nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono e si svolge nel VII secolo a Milano: il trono longobardo è stato usurpato dal duca di Benevento Grimoaldo, e l’erede legittimo Bertarido è fuggito abbandonando la moglie Rodelinda e il figlio Flavio. Grimoaldo, promesso alla sorella di Bertarido, Eduige, vuole sposare Rodelinda per rafforzare il proprio potere, ma la regina rifiuta le sue attenzioni e piange il marito creduto morto.

Un’intricata trama ricca di colpi di scena conduce al lieto fine, in cui Rodelinda e il suo sposo possono riunirsi felicemente nel tripudio generale.

Il duetto che abbiamo scelto chiude il II. Atto dell’opera:

RODELINDA

E

BERTARIDO

Io t’abbraccio,

e più che morte, aspro e forte,

è pe ‘l cor mio questo addio,

che il tuo sen dal mio divide.

Ah mia vita,

ah mio tesoro, se non moro,

è più tiranno quell’affanno,

che dà morte, e non uccide.

Concerti di Classica per festeggiare il Natale
Un ritratto musicale di Frederick, Prince of Wales, e le sue sorelle di Philip Mercier, datato 1733, usando Kew Palace come sfondo en plein-air

Giovanni Paisiello (Taranto 1740 – Napoli 1816), tra i più noti operisti della fine del 18° secolo, è uno degli ultimi grandi rappresentanti della scuola musicale napoletana; esponente di primissima fila delle vicende musicali nell’ultimo trentennio del Settecento, fece della commedia per musica napoletana un genere di successo internazionale, apprezzato in tutta Europa.

Sebbene abbia praticato quasi ogni genere musicale del suo tempo (specie in ambito sacro), lasciando cantate, oratori, messe, sinfonie, concerti per clavicembalo e orchestra, quartetti, sonate, l’importanza storica di Paisiello è legata alla sua produzione teatrale, che annovera un centinaio di opere, sia serie che buffe. Allo sviluppo di quest’ultimo genere ha dato un contributo determinante, ma con la sua commedia per musica Nina, o sia La pazza per amore (1789)  ha anche indicato la strada verso un nuovo gusto protoromantico.

Paisiello, formatosi a Napoli, dove visse e operò per la maggior parte della sua vita, ebbe anche una significativa carriera internazionale che lo portò ad attraversare l’Europa fino a San Pietroburgo, dove soggiornò dal 1776 al 1784 al servizio della zarina Caterina II, e dopo tappe a Varsavia e a Vienna, si recò a Parigi (1802-04) su esplicita richiesta di Napoleone.

Nina, o sia La pazza per amore debuttò al Belvedere di San Leucio (Caserta) nel giugno del 1789; è una commedia per musica su libretto di Giovanni Battista Lorenzi, basato sulla traduzione di Giuseppe Carpani di Nina ou la Folle par amour di Benoît-Joseph Marsollier de Vivetières, a sua volta libretto per un’opera di Nicolas Dalayrac. L’opera conobbe un successo vivissimo, e  rimase in cartellone in tutt’Europa fino all’Ottocento.

L’opera di Paisiello è innovativa  per l’uso intensivo dei cori e per la drammaturgia che mescola il serio e il comico;  soprattutto vi si coglie l‘inizio di un cambiamento di temperie culturale, che sfocerà in una nuova sensibilità romantica.

Nina da anche l’avvio a un particolare filone melodrammatico imperniato su un’eroina dalla psiche instabile, ruolo che richiedeva un’estrema perizia d’attrice oltre che canora, e che di lì a poco conoscerà una grande fortuna.

Dalla Nina abbiamo scelto il tenero duetto di Nina e Lindoro (II atto):

LINDORO

Oh momento fortunato!   

Qual contento, amato bene.

……

NINA

T’amo.

LINDORO

A me?

NINA

Sì t’amo, sì.

NINA

Ah! Che amabili momenti!

Questi cari e dolci accenti

Fida ognor ripeterò.

….

NINA

Al mio fianco ognor sarai?

LINDORO

Da te mai non partirò.

…..

Vincenzo Bellini (Catania 1801 – Puteaux  1835), tra i più celebri operisti dell’Ottocento, con Gioacchino Rossini e Gaetano Donizetti  è considerato il compositore per antonomasia dell’era del Belcanto italiano.

Nella sua breve vita ompose in tutto dieci opere, tra cui le più famose e rappresentate sono La sonnambulaNorma e I puritani.

La musica di Bellini è stata definita come un singolare connubio tra classicità e romanticismo. Classicista la forma, romantico  il pathos delle sue opere, dove passioni e sentimenti assumono grande importanza; punto di raccordo fra le due tendenze è la melodia, quelle melodie lunghe lunghe tanto apprezzate anche da Verdi. E come cesellatore di melodie di limpida bellezza, evocatrici di atmosfere sognanti, sensuali e malinconiche, Bellini gode di imperitura fama.

Nato in una famiglia di musicisti, formatosi a Napoli, conobbe giovanissimo il successo con la sua opera Bianca e Gernando presentata al San Carlo di Napoli nel 1825. L’anno successivo il celebre impresario Domenico Barbaja gli commissionò un opera per il Teatro alla Scala, dove sia questa –  Il pirata (1827) – sia La straniera (1829) ottennero un successo trionfale.

Dopo aver composto altre opere per diversi teatri italiani, dove collezionò molti trionfi e qualche fallimento (clamoroso il fiasco della Norma alla Scala il 26 dicembre 1831, diventata in seguito una delle sue opere più acclamate), Bellini visse brevemente a Londra nel 1833, per partire poi alla volta di  Parigi. Qui entrò in contatto con alcuni dei più grandi compositori d’Europa, tra cui Chopin, e il suo linguaggio musicale si arricchì di colori e soluzioni nuove; l’influenza di Rossini gli assicurò una commissione per il Théâtre-Italien, per il quale compose I puritani (1835), ultima delle sue opere. La sua carriera e la sua vita furono tragicamente stroncati quello stesso anno da un’ infezione intestinale che lo condusse a morte a soli 34 anni.

La sonnambula, rappresentata in prima assoluta nel 1831 al  Teatro Carcano di Milano, è un melodramma in due atti su libretto di Felice Romani. Con Norma e I puritani costituisce il vertice della produzione operistica belliniana.

Per la creazione dell’opera Bellini poté contare su due protagonisti straordinari, la prima donna Giuditta Pasta, una delle più celebri cantanti  del secolo, e il tenore Giovanni Battista Rubini, una leggenda della lirica di primo Ottocento.

Il libretto si basa sul  ballet- pantomime (1827) e la  comédie-vaudeville (1819)  La Somnambule di Eugène Scribe.

La storia è ambientata in un villaggio svizzero in epoca imprecisata; gli abitanti sono in festa per l’imminente matrimonio dell’orfana Amina con il ricco contadino Elvino. Il feudatario Rodolfo, tornato a casa dopo la morte del padre, si appresta a soggiornare alla locanda, dove all’improvviso si apre una finestra dalla quale entra Amina, in evidente stato di sonnambulismo.

Rimane addormentata su un divano della locanda; Elvino, non credendo al suo sonnambulismo, è certo della sua infedeltà e annulla il matrimonio. L’innocenza di Amina diviene palese quando la si vede camminare in cima ai tetti  – Elvino si ravvede, l’intreccio si scioglie, e l’opera si conclude con il lieto fine del sospirato matrimonio.

Dalla Sonnambula proviene una delle arie più celebri del repertorio operistico, la sublime  Ah, non credea mirarti; per la nostra playlist proponiamo invece il duetto di Amina ed Elvino del I atto, scena I :

Elvino

Prendi: l’anel ti dono

Che un di recava all’ara

L’alma beata e cara

Che arride al nostro amor.

…..

Sposi or noi siamo.

Amina

Sposi!…

Oh! Tenera parola

Gaetano Donizetti (Bergamo 1797 – 1848) è un altro grandissimo protagonista della scena lirica della prima metà dell’Ottocento.

È autore di oltre 70 opere, le principali delle quali sono oggi rappresentate nei maggiori teatri di tutto il mondo. La sua vasta produzione musicale comprende anche un copiosissimo catalogo di liriche da camera,  numerose cantate, musica strumentale e oltre 100 composizioni sacre.

Tra le opere più note, L’Elisir d’amore, La Fille du régiment, Don Pasquale, Lucia di Lammermoor, Anna Bolena, Maria Stuarda, Roberto Devereux.

Nato a Bergamo in una famiglia poverissima, all’età di nove anni Donizetti fu accolto nella Scuola Caritatevole di Musica di Bergamo, diretta da Giovanni Simone Mayr, e proseguì poi gli studi a Bologna.

Il primo riconoscimento arrivò nel 1822 con la rappresentazione di Zoraide di Granata (Roma, Teatro Argentina); nel 1830 Donizetti conobbe il primo grande successo internazionale con l’Anna Bolena, scritta per il Teatro Carcano di Milano, seguito da un altro capolavoro, questa volta nel genere comico, L’elisir d’amore (1832).

La più celebre tra le opere serie di Donizetti, Lucia di Lammermoor, debuttò al Teatro San Carlo di Napoli il 26 settembre del 1835 con un cast di prim’ordine: i ruoli dei protagonisti erano infatti interpretati da  Fanny Tacchinardi (Lucia), Gilbert Duprez (Edgardo) e Domenico Cosselli (Enrico). La prima fu un trionfo, e Lucia diventò presto un successo internazionale, venendo presentata a Londra ne! 1838, a Parigi (in versione francese) nel 1839, a New Orleans nel 1841.

L’opera, dramma tragico in due parti e tre atti, è composta su libretto di Salvadore Cammarano, tratto da The Bride of Lammermoor (La sposa di Lammermoor) di Walter Scott, considerato il padre del romanzo storico,  e autore al tempo molto in voga.

Tra i brani più famosi dell’opera figurano la scena della pazzia di Lucia, la struggente cabaletta finale Tu che a Dio spiegasti l’ali, considerata uno dei più bei pezzi d’opera tenorili, e lo struggente duetto Verranno a te sull’aure:

 Lucia, poi Edgardo:

Verranno a te sull’aure

i miei sospiri ardenti,

udrai nel mar che mormora

l’eco de‘ miei lamenti…

Pensando ch’io di gemiti

mi pasco e di dolor,

spargi un‘amara lagrima

su questo pegno allor!…

Don Pasquale è un’opera buffa in tre atti di Gaetano Donizetti, su libretto di Giovanni Ruffini e dello stesso Donizetti, ed è ricalcato sul dramma giocoso di Angelo Anelli Ser Marcantonio, musicato da Stefano Pavesi nel 1810.

La prima rappresentazione del Don Pasquale ebbe luogo al Théâtre-Italien di Parigi il 3 gennaio 1843 con un cast d’eccezione, formato da Giulia Grisi (Norina), Luigi Lablache (Don Pasquale), Antonio Tamburini (Malatesta), Mario (Ernesto) e Federico Lablache (notaio) alla presenza del compositore. Donizetti era nel pieno della sua maturità artistica e l’opera, che ottenne un successo immediato, è uno dei suoi capolavori nel genere comico; è generalmente considerata il punto più alto della tradizione dell’opera buffa del XIX secolo e, di fatto, ne segna la fine.

Don Pasquale è un anziano e ricco scapolo che è adirato con il nipote Ernesto, futuro erede delle sue fortune, perché questi rifiuta di sposare una ricca e nobile zitella come lo zio vorrebbe. Ernesto è invece innamorato di Norina, una vedova giovane e carina ma di modeste condizioni. Don Pasquale decide allora di prendere moglie per punire il giovane e diseredarlo…

Dal III atto , il languido duetto di Ernesto e Norina, Tornami a dir che m’ami:

Ernesto e Norina

Tornami a dir che m’ami,

dimmi che mia/mio tu sei;

quando tuo ben mi chiami

la vita addoppi in me.

Giuseppe Verdi (Roncole, Busseto, 1813 – Milano 1901) non ha bisogno di presentazioni: massimo operista italiano dell’Ottocento, tra i più celebrati di tutti i tempi, è autore di musiche indimenticabili e di opere tra le più amate e rappresentate in tutto il mondo.

Un ballo in maschera conobbe un percorso travagliato prima di giungere sulle scene del Teatro Apollo di Roma il 17 febbraio del 1859. L’opera, prevista in origine per Napoli, dovette infatti subire numerose modifiche dettate dalla censura prima borbonica e poi pontificia, a causa del soggetto basato su un fatto realmente accaduto: Gustavo III, re di Svezia dal 1771 al 1792, fu ferito da un uomo di corte durante un ballo il 16 marzo del 1792, ferimento che ne causò la morte pochi giorni dopo.

La storia è ripresa nel libretto di Eugène Scribe per il grand opera di Daniel Auber Gustave III, ou Le Bal masqué, che aveva debuttato a Parigi nel 1833, e continuava a mietere successi;  fu messa in musica diverse altre volte prima di diventare la fonte del  Ballo in maschera di Verdi. Nel libretto di Antonio Somma poi musicato da Verdi, proprio a causa della censura, il luogo dell’azione è spostato a Boston.

Dall’Atto II, scena II l’appassionato e disperato duetto d’amore di Riccardo e Amelia:

Riccardo

Teco io sto.

Amelia

Gran Dio!

….

Amelia

Ma, Riccardo, io son d’altrui…

Dell’amico più fidato…

Riccardo

Taci, Amelia…

Amelia

Io son di lui,

Che darìa la vita a te.

…..

Riccardo

La mia vita… l’universo,

Per un detto…

Amelia

O ciel pietoso!

Riccardo

Di’ che m’ami…

Amelia

Ah va, Riccardo!

Riccardo

Un sol detto…

Amelia

Ebben, sì, t’amo…

Giuseppe Verdi in Russia

Otello, capolavoro della maturità di Verdi, è la sua penultima opera. Debuttò a Milano il 5 febbraio 1887 nell’ambito della stagione di Carnevale del Teatro alla Scala. Il libretto, di Arrigo Boito, è tratto dall’omonima tragedia di Shakespeare. 

Verdi tornò sulle scene dopo un lunghissimo silenzio, che poteva sembrare definitivo – l’opera precedente, Aida, era del 1871 e tornò con un linguaggio musicale innovativo, in cui le forme chiuse appaiono sempre più disciolte in un flusso musicale continuo.

Dal I Atto, uno dei più intensi duetti d’amore di Verdi: Otello e Desdemona, Già nella notte densa:

 

OTELLO

Già nella notte densa

S’estingue ogni clamor.

Già il mio cor fremebondo

S’ammansa in quest’amplesso e si rinsensa.

Tuoni la guerra e s’inabissi il mondo

Se dopo l’ira immensa

Vien quest’immenso amor!

DESDEMONA

Mio superbo guerrier! Quanti tormenti,

quanti mesti sospiri e quanta speme

ci condusse ai soavi abbracciamenti!

Oh! Com’è dolce il mormorare insieme:

te ne rammenti!

Quando narravi l’esule tua vita

E i fieri eventi e i lunghi tuoi dolor,

ed io t’udia coll’anima rapita

in quei spaventi e coll’estasi in cor.

OTELLO

Venga la morte! E mi colga nell’estasi

Di quest’amplesso

Il momento supremo!

Tale è il gaudio dell’anima che temo,

temo che più non mi sarà concesso

quest’attimo divino

nell’ignoto avvenir del mio destino.

DESDEMONA

Disperda il ciel gli affanni

E amor non muti col mutar degli anni.

OTELLO

Ah! La gioia m’innonda

Si fieramente… che ansante mi giacio…

Un bacio…

DESDEMONA

Otello!

OTELLO

Un bacio… ancora un bacio,

Già la pleiade ardente in  mar discende.

DESDEMONA

Tarda è la notte.

OTELLO

Vien… Venere splende.

DESDEMONA

Otello!

Giacomo Puccini (Lucca 1858 – Bruxelles 1924), il più importante compositore italiano della generazione post-verdiana, nacque a Lucca il da una famiglia di musicisti: da molte generazioni i Puccini erano Maestri di cappella del Duomo.

Considerato uno dei maggiori e più significativi operisti della storia musicale, Puccini scrisse  soltanto dodici opere, ma la maggior parte di esse sono capolavori dai meccanismi teatrali perfetti, entrate stabilmente nel repertorio operistico internazionale:  opere come  La bohème (1896), Tosca (1900), Madama Butterfly (1903) e Turandot (1926) sono di repertorio nella  maggior parte dei teatri mondali.

Manon Lescaut, la terza opera di Puccini, segna Il primo grande successo internazionale del compositore. L’opera, in quattro atti,  andò in scena al Teatro Regio di Torino nel 1903. Il libretto, ispirato al romanzo dell’abate Antoine François Prévost Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut  (1731),  ebbe una gestazione difficile –  passò tra le mani di molti letterati, in particolare Marco Praga, Domenico Oliva, Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, prima di poter essere musicato, tanto che fu pubblicato da Ricordi senza i nomi degli autori.

La prima rappresentazione, alla presenza del compositore, ottenne un successo clamoroso: l’opera venne ripresa da diversi teatri italiani e aprì la strada al successo internazionale di Puccini: nell’anno stesso del debutto, Manon andò in scena a Buenos Aires, Rio de Janeiro, San Pietroburgo e Madrid; nel 1894 venne ripresa a Praga, Londra, Montevideo, Philadelphia e  Città del Messico, nel 1895 a Santiago del Cile, nel 1898 venne messa in scena al Wallack’s Theatre di New York, ad Atene e Amsterdam.

Il duetto Tu, tu, amore? Tu?  tra Manon e Des Grieux nel II Atto:

MANON

Tu, tu, amore? Tu?!

Ah! mio immenso amore? … Dio!

DES GRIEUX

Ah, Manon!

MANON

Tu non m’ami

Dunque più?

M’amavi tanto!

Oh, i lunghi baci! Oh, il lungo incanto!

La dolce amica d’un tempo aspetta

La tua vendetta.

Oh, non guardarmi così: non era

La tua pupilla

Tanto severa!

MANON

Pensavo

A un avvenir di luce;

Amor qui ti conduce …

T’ho tradito, è ver!

Ai tuoi piedi son!

T’ho tradito!

Sciagurata dimmi,

ai tuoi piedi son!

Ah! Voglio il tuo perdono.

Non lo negar! Son forse

Della Manon d’un giorno

Meno piacente e bella?

DES GRIEUX

O tentatrice! È questo

L’antico fascino che m’accieca!

MANON

È fascino d’amor; cedi, son tua!

DES GRIEUX

Più non posso lottar! Son vinto!

Umberto Giordano (Foggia 1867 – Milano 1948), compositore verista ed esponente della cosiddetta ‘Giovine Scuola’  con Puccini, Mascagni, Leoncavallo e Cilea, conobbe il primo successo con l’opera Mala vita, rappresentata a Roma nel 1892.

Altri titoli notevoli furono Siberia (Milano 1903), Madame Sans-Gêne (New York 1915), La cena delle beffe (Milano 1924).

Le opere più note e ancora oggi di repertorio, sono però Fedora (Milano 1898) al cui successo contribuì in maniera determinante Enrico Caruso, che con quest’opera ottenne la sua prima importante affermazione, e soprattutto Andrea Chénier, il capolavoro di Giordano.

L’opera, su libretto di Luigi Illica, è un dramma di ambiente storico ispirato alla vita del poeta francese André Chénier, giustiziato a 31 anni dalla ghigliottina della Rivoluzione francese. La prima, dall’esito trionfale, ebbe luogo alla Scala di Milano nel marzo del 1896, protagonisti il tenore Giuseppe Borgatti, il soprano Evelina Carrera e il baritono Mario Sammarco, il successo fu trionfale.

La drammatica vicenda del poeta Chénier – prima rivoluzionario e poi proscritto da Robespierre –  dell’amata, la nobildonna,   Maddalena di Coigny, e del cittadino Gérard è tratteggiata con un accavallarsi di colpi di scena di stampo quasi cinematografico,

sottolineato da melodie trascinanti. 

La vicenda trova un epilogo tragico e sublime nella morte dei due amanti, che vanno sereni incontro al loro destino, rapiti nell’estasi di un amore così invincibile che si eterna trionfando sulla morte.

Il duetto Vicino a te s’acqueta è quello che conclude l’opera:

Chénier

Vicino a te s’acqueta

l’irrequïeta anima mia;

tu sei la mèta

d’ogni desio e bisogno

e d’ogni sogno

e d’ogni poesia!…

Entro al tuo sguardo

l’iridescenza scerno

de li spazî infiniti. Io son già eterno!

Maddalena

Il nostro è amore d’anime!

Chénier

Che tu viva se muojo, di’, che vale?

È l’anima immortale;

ovunque tu sarai, sì, io là sarò!

Maddalena

Per non lasciarti

son qui; non è un addio!

Vengo a morire,

vengo a morire anch’io

con te!

Chénier   – Maddalena

La nostra morte è il trionfo dell’amore

Chénier e Maddalena

Nell’ora che si muore

eterni diveniamo!…

Eternamente amiamo!…

Morte è infinito, è amore!…

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