Il Teatro veneziano apre con Fidelio, l’unica opera lirica composta da Beethoven – una scelta doppiamente significativa, che da un lato rende onore al Maestro di Bonn recuperando l’omaggio per il 250° cancellato dalla pandemia, e dall’altro sottolinea l’anelito alla liberazione in uno spirito di fratellanza, tema di punta del Fidelio, come sottolineato dal Sovrintendente Fortunato Ortombina. “… Fidelio è l’opera della liberazione per eccellenza. Ci vediamo un po’ tutti come dei prigionieri in questo periodo di pandemia. Dei prigionieri che sentono il desiderio della liberazione.” L’opera andrà in scena in un nuovo allestimento de La Fenice, con la direzione musicale di Myung-Whun Chung e la regia di Joan Anton Rechi. Nei ruoli principali del cast, Ian Koziara (Florestan), Tilmann Rönnebeck (Rocco) e Tamara Wilson (Leonore). Unicum nella produzione beethoveniana, Fidelio ebbe un percorso complesso prima di assumere la forma definitiva, frutto di tagli, revisioni e modifiche. Esistono infatti tre versioni dell’opera, dalla prima del 1805, alla seconda dell’anno successivo, per giungere alla forma definitiva nel 1814. Le prime due versioni debuttarono con scarsi consensi a Vienna al Theater an der Wien, entrambe con il titolo ‘Leonora ossia l’amor coniugale”. La terza riscrittura, questa volta con il titolo ‘Fidelio’ e il celebre baritono Johann Michael Vogl nel ruolo di Don Pizarro, andò in scena il 23 maggio del 1814 al Teatro di Porta Carinzia, riscuotendo finalmente l’agognato successo. La trama narra di un uomo ingiustamente incarcerato, Florestan, che viene liberato dalla moglie Leonore, introdottasi nel suo luogo di detenzione sotto le mentite spoglie maschili di Fidelio. Il soggetto, molto conosciuto al tempo, è tratto dal dramma francese ‘Léonore ou l’amour conjugal’ di Jean-Nicolas Boully rappresentato nel 1798 con musica di Pierre Gaveaux, testo cui negli stessi anni attinsero Ferdinando Paër (Leonora, Dresda 1804 ) e Giovanni Simone Mayr (L’amor coniugale, Padova 1805). Rientrava in un genere molto in voga in Francia e in Germania in quegli anni, la pièce à sauvetage, in cui gli eroi positivi rappresentanti delle forze del bene, dopo aver subito ingiuste persecuzioni, trionfano al termine di un intreccio avventuroso trovando la salvezza da un grave pericolo grazie a un provvidenziale colpo di scena. Se la prima stesura del testo musicato da Beethoven era di mano del librettista, direttore di teatro e archivista Joseph Sonnleithner (Vienna 1766 – 1835), la versione definitiva del libretto si deve a Georg Friedrich Treitschke (Lipsia 1766 – Vienna 1842, librettista, drammaturgo ed entomologo, dal 1809 al 1814 direttore del Theater an der Wien) che su richiesta dello stesso compositore revisionò il lavoro, rendendo più stringente l’intreccio teatrale. In quest’ultima versione Beethoven sviluppò pienamente temi a lui cari quali la dialettica tra bene e male, tra giustizia e tirannia, e il trionfo finale della Ragione e dell’’Amore, valorizzandoli con una musica dai contenuti epici.