Era la vigilia di Natale del 1781. Nel Palazzo della Hofburg, la residenza della corte imperiale di Vienna, si stava svolgendo un sontuoso ricevimento offerto dall’imperatore Giuseppe II in onore del Granduca e futuro Imperatore di Russia Paolo I e della consorte Maria Fëdorovna (nata Sofia Dorotea Principessa di Württemberg). La coppia granducale aveva toccato Vienna nel corso di un lungo Grand Tour attraverso l’Europa, che aveva intrapreso sotto lo pseudonimo di Conti di Sévigny. Entrambi erano grandi appassionati di musica (con qualche competenza: per un triennio, fino al 1779 il compositore e maestro di cappella alla corte della Zarina Caterina era stato Paisiello).
Per coincidenza, a Vienna era giunto da pochi giorni anche Muzio Clementi (Roma 1752 – Evesham 1832). Preceduto da una solida e crescente fama come compositore e come virtuoso, l’anno pima era partito da Londra dove risiedeva, per una lunga tournée concertistica. Nel corso di un triennio lo avrebbe portato ad esibirsi in Francia, in Germania e in Austria.
Nella capitale imperiale da qualche mese si era stabilito pure il venticinquenne Mozart, che già aveva fatto conoscere il proprio talento negli ambienti della Corte.
Era un occasione perfetta per offrire un evento memorabile ai propri ospiti: i due musicisti erano stati invitati a suonare in quella serata, ma senza essere stati informati del duello previsto.
I dettagli dell’episodio sono descritti vividamente dai diretti interessati nei loro epistolari. Così ci racconta Clementi: “Dopo pochi giorni che ero a Vienna, venni invitato dall’Imperatore a suonare per lui sul fortepiano. Appena entrato nella sala di musica, vi trovai un tale che per l’elegante aspetto pensai fosse un camerlengo dell’imperatore; ma, appena attaccato discorso, passò subito a questioni musicali e ci riconoscemmo come colleghi – come Mozart e Clementi – salutandoci cordialmente».

I due musicisti, dopo essersi scambiati i complimenti di rito, erano pronti per affrontarsi nel duello musicale che veniva loro richiesto. Mozart descrive la sfida: “L’imperatore stabilì che avrebbe suonato per primo lui. La Santa Chiesa Cattolica! Disse, perché Clementi è romano. Egli preludiò ed eseguì una sonata. Allora l’imperatore mi disse: “Allons, fuoco!”. Preludiai a mia volta e suonai delle variazioni; la Granduchessa presentò delle sonate di Paisiello (copiate di sua mano e pressoché illeggibili) delle quali io dovetti suonare gli Allegri e Clementi l’Andante e il Rondò. Scegliemmo poi un tema da quelli e lo sviluppammo su due pianoforti. (Lettera al padre, 16 gennaio 1782)
Sia Mozart che Clementi avevano strabiliato l’uditorio: Clementi aveva stupito tutti con la sua sonata composta da poco (la Sonata in si bemolle maggiore op. 24 n. 2) eseguita con un virtuosismo senza pari; Mozart aveva risposto suonando con incredibile intensità, evocando tutti i sentimenti attraverso la sua musica. Di certo nessuno dei due aveva mai fronteggiato un così formidabile e temibile avversario.
Come finì il duello?
Ufficialmente, a quanto ne sappiamo, con il tatto e l’eleganza che il suo ruolo richiedeva, l’Imperatore dichiarò il pareggio, ricompensando i due artisti in ugual misura. Secondo alcuni autori, Giuseppe II in privato avrebbe espresso una preferenza per Mozart, che non gli valse però l’incarico a corte nel quale aveva sperato.
I due compositori trassero da questo episodio un’impressione totalmente opposta. Clementi manifestò grande apprezzamento per il celebre collega, tanto che scrisse “Non ho mai udito fino ad oggi suonare in maniera così intelligente e aggraziata. Più di tutto mi hanno impressionato un adagio e molte delle variazioni da lui improvvisate il cui tema scelto dall’imperatore, dovevamo variare a turno, mentre l’altro accompagnava”.
Mozart mal ricambiava la stima del grande antagonista: “Clementi è un bravo pianista e con questo è detto tutto. Suona bene per ciò che riguarda la mano destra, la sua potenza sta tutta nei passaggi di terze. Per il resto non ha un centesimo di sentimento o di gusto, – in una parola è un semplice mechanicus”. In una lettera successiva, addirittura scrisse: ”Clementi è un ciarlatano, come tutti gli italiani.”
Ciononostante, il tema principale della Sonata che Clementi aveva eseguito in quella memorabile sfida musicale, colpì Mozart al punto che dieci anni più tardi l’avrebbe ripresa nell’ouverture del Flauto Magico. Clementi ne fu contrariato, e si premurò di apporre una nota nelle edizioni a stampa del suo pezzo in cui si specificava che il brano era stato composto dieci anni prima dell’opera di Mozart.
L’episodio non scalfi però l’ammirazione che Clementi nutriva per Mozart, come si evince dalle numerose trascrizioni delle composizioni mozartiane, compresa una versione per pianoforte solo dell’ouverture del Flauto Magico.
Clementi fece ritorno in Inghilterra nel 1782, dove proseguì la sua attività di pianista, compositore e didatta con grande successo. In seguito fu anche editore musicale, in particolare delle composizioni di Beethoven – suo grande estimatore – che gli aveva concesso i diritti di pubblicazione per l’Inghilterra di tutte le sue composizioni.
Fu costruttore di pianoforti con una propria fabbrica, un’attività che nel corso degli anni divenne fiorente, e gli consentì una vita agiata. Dotato di inventiva e di ottime conoscenze tecniche, apportò innovazioni e miglioramenti alla meccanica dello strumento, alcuni dei quali in uso ancora oggi.
Nel 1813, insieme ad altri musicisti, Clementi fondò la Philharmonic Society of London, che nel 1912 diventerà la Royal Philharmonic Society ancora oggi esistente.
Per i suoi meriti artistici e la sua fama, ebbe l’onore di essere tumulato nell’abbazia di Westminster, dove la lapide commemorativa lo ricorda come ‘Father of the pianoforte’, ‘padre del pianoforte’.